Cgil in piazza: 700mila contro il governo
di Fabrizio Caccia
Berlusconi: sciopero fallito. D'Alema in corteo: il Pd rappresenti i lavoratori
Per la questura erano in 50 mila. Epifani: chi è in cassa integrazione per 6 mesi non sopravvive Scontro con Bonanni
ROMA — Un minuto di silenzio per le morti bianche. Poi, il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, dal palco di San Giovanni inizia a parlare: «Il governo ha lavorato per dividere Cipputi e Travet, ma i lavoratori non si fanno dividere». Metalmeccanici e impiegati statali, Cipputi e Travet, ieri in piazza contro la politica economica del governo. Sciopero di otto ore in tutta Italia e tre cortei per le strade di Roma. «Siamo oltre 700 mila», annuncia dal palco il segretario della Cgil-Funzione pubblica, Carlo Podda. Secondo la Questura, invece, appena 50 mila. Così, scoppia la guerra dei numeri: «L'adesione è stata solo del 6 per cento, lo sciopero è fallito — commenta duro Silvio Berlusconi —. La Cgil si è tolta di mezzo da sola, rompendo il fronte sindacale rispetto ad altri sindacati che invece hanno contribuito alle riforme». «Berlusconi non sa di cosa parla — replica Podda —. Il dato del 6 per cento è solo uno dei numeri che dà Brunetta». Dal governo, però, arrivano nuove bordate. «Le forze dell'ordine stimano non più di 50mila persone in piazza. Il leader della Cgil sostiene invece di averne contate 700mila — chiosa il portavoce del ministro della Funzione pubblica —. Non resta quindi che prendere atto dell'ulteriore crescita del coefficiente Veltroni per il calcolo delle presenze alle manifestazioni: mesi or sono era 10, adesso è salito a 14». Reagisce Podda: «L'unica Brunetta di cui mi fido è mia moglie ». «Sciopero dopo sciopero riusciremo a cambiare la politica del governo», grida Epifani dal palco. Bandiere rosse, ma anche qualcuna nostalgica della Cisl. Slogan e striscioni eloquenti: «Bonanni, Angeletti e Marcegaglia, contro il vostro accordo daremo battaglia». Il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, si mostra critico: «Quello della Cgil è uno sciopero più politico che sindacale». Epifani gli risponde: «Bonanni dice cose non vere, rispetti il nostro sciopero che è una spinta al governo e non la butti in politica». Sfilano studenti, l'Arci, Emergency, Cento dei Verdi, Ferrero di Rifondazione. Ma anche Bertinotti e Vendola. In testa al corteo principale le tute blu dell'Alfa di Pomigliano. Ci sono con loro i leader della Fiom, Gianni Rinaldini e Giorgio Cremaschi. Si alza il grido: «Pomigliano non si tocca». Ma non solo: «Napolitano non si tocca». Con i manifestanti anche un gruppo del Pd: Damiano, Bindi, Fassino, Bettini, Bersani. E soprattutto, a sorpresa, ecco Massimo D'Alema: «Il Pd deve rappresentare i lavoratori — dice —. Oggi è necessario e urgente garantire chi perde il posto di lavoro». A chi gli chiede dell'assenza di Walter Veltroni, replica seccamente: «Il segretario del partito non è qui perché ha anche altre responsabilità. Comunque non voglio polemizzare con Veltroni. Evidentemente, a voi giorna-listi, dei lavoratori non interessa nulla...». Walter Veltroni è in Sardegna, assente giustificato: «Lui è il segretario di un partito complicato — dice Epifani — e deve tener conto di tutte le posizioni ». Il riferimento è all'ala dell'ex Margherita (Rutelli, Letta) che ha scelto di non venire. Proposta, comunque. Non solo protesta: «I lavoratori che stanno 6-7-8 mesi con 650 euro di cassa integrazione non possono sopravvivere — ammonisce il leader della Cgil —. Propongo di aumentare per due anni le tasse sui redditi sopra i 150 mila euro, destinando così il miliardo e mezzo di gettito al sostegno dei redditi più bassi». Infine, dà appuntamento al 4 aprile. Stavolta al Circo Massimo dove nel 2002, con Cofferati, furono in 3 milioni: 700 mila, secondo la Questura.
Liberazione 14.2.09
Democrazia al lavoro
di Dino Greco
Quello che speravamo e che era sommamente necessario per scuotere l'inquietante atmosfera in cui imputridisce la politica italiana è infine accaduto. Il lavoro, non nella sua astratta espressione sociologica, ma con i volti di donne e uomini "in carne ed ossa" ha fatto sentire la propria voce. Talmente forte e chiara da rendere risibile l'ennesima, stucchevole querelle sul numero dei partecipanti. Il fatto incontrovertibile è che per le vie di Roma è scorso un fiume in piena: lavoratrici e lavoratori sono scesi in sciopero nel bel mezzo di una crisi devastante che mette in gioco i loro posti di lavoro, la loro vita, il loro futuro, disposti a farsi carico di un'ulteriore decurtazione salariale per render chiaro a tutto il Paese, ad un governo imbelle e protervo, ad una tracotante Confindustria, che non sarà facile scaricare sui più deboli i costi del disastro economico. E che quanti hanno stipulato l'accordo separato che li deruba di salario, diritti, democrazia troveranno pane per i loro denti. Merito di Fiom e Fp quello di avere compreso la natura e la profondità di questo attacco. Rivolto, sì, in primo luogo, contro le persone che lavorano, ma luciferinamente organizzato anche per colpire quella parte del sindacato che non intende rinunziare ad un'autonoma rappresentanza del lavoro, che non si piega ad un ruolo servile nei confronti dell'impresa. La storia patria, da quella più antica a quella più recente, come quella continentale e d'oltre oceano, ci rende avvertiti che ogniqualvolta il sindacato è stato sconfitto (i controllori di volo nell'America di Ronald Reagan, i minatori di Arthur Scargill nell'Inghilterra di Margaret Thatcher) è l'insieme dei rapporti sociali che ne è uscito sconquassato, generando povertà, solitudine, disuguaglianza. E una drammatica implosione della democrazia. Oggi, siamo noi a vivere su questo crinale. Reso ancor più ripido dal più organico tentativo mai messo in atto, da sessant'anni a questa parte, di archiviare la Costituzione Repubblicana. Siamo cioè di fronte ad una riedizione di quella che lo storico Giovanni De Luna ha definito come «la latente tentazione antidemocratica della borghesia italiana», che oggi si sposa al sovversivismo clerico-fascista di una classe politica dirigente ignorante, corrotta e aggressiva. Credo che tutto questo abbiano capito - con quell'immediato istinto politico di cui tante volte hanno dato prova - le proletarie, i proletari che ieri sono così in tanti convenuti a Roma. Essi hanno avvertito il pericolo mortale, il bisogno di reagire direttamente, subito, in proprio, senza deleghe. Viene da lì un messaggio che è politico e morale insieme: provare ad ostruire una strada e ad indicarne un'altra, con una intelligenza dei fatti ed una determinazione che altrove latitano. Allora servono due cose: la continuità della lotta sociale, battendo colpo dopo colpo, ancora e poi ancora, finché il ferro è caldo. Ed un ruolo politico della sinistra, a partire dal Prc, sempre più necessario di fronte allo sconfortante cerchiobottismo del Pd.
l’Unità 14.2.09
Laicità, tutte le parole per ritrovarla
di Bruno Gravagnuolo
Inutile girarci attorno. L’Italia è un paese a sovranità limitata. Non in chiave geopolitica, ovviamente, almeno da quando la divisione in blocchi è crollata. Semmai dall’interno, dall’intimo della sua costituzione formale. Limitata com’è da un Concordato - e non già da un semplice Trattato con la Chiesa Romana - che pone argini al dispiegarsi pieno delle sue prerogative sovrane. E stante che quel Concordato implica uno Stato sovrano - la Chiesa - dentro un altro stato, quello italiano. Con tutte le conseguenze del caso, di costume e giuridiche. E che comportano molti vulnera all’eguaglianza religiosa dei cittadini e all’universalismo dei diritti.
Sono verità non smentibili, corroborate da un lunga storia. Pacifiche per il senso comune e per la dottrina, e nondimeno niente affatto pacifiche e innocue, specie quando il paradosso delle «due sovranità» riesplode in modo plateale come oggi. Dai Pacs al testamento biologico negato. Allorché una destra di conio illiberale vecchio e nuovo - opposta alla destra storica - e cioè la nostra destra di governo, sceglie di cavalcare quel paradosso. Per riscrivere di fatto (e di diritto) l’equilibrio delle due sovranità: tutto a vantaggio del lato religioso.
È questa la riflessione centrale a cui ci induce un libro agile e svelto, ma ben documentato, che va in questi giorni in libreria: Da aborto a Zapatero. Un vocabolario laico (Laterza, pagine 205, euro, 15,00). Scritto da Vladimiro Polchi, un giornalista classe 1973, che scrive di politica e cronaca su Repubblica, coautore con Corrado Augias di Aldo Moro, una tragedia italiana (Roma 2007) e versato in drammaturgia storiografica. Come indica il titolo, è un glossario fatto di 63 lemmi, da quelli più concreti di bioetica a quelli più astratti e di dottrina (ma oltre a Teodicea e Guerra, passando per Embrione e Eutanasia, non mancano poi Ici, Opus dei, Otto per Mille, etc.). Il tutto a formare un prontuario laico. Attraverso il quale è possibile formarsi un’idea dei punti più controversi nella disputa «laicità e suo contrario». E anche ripercorrerne la storia minuta, inevitabilmente intrecciata al contesto italiano, dominata da quella che Antonio Gramsci definiva la «Quistione Vaticana». Quanto a storia intanto, storia recente, una prima e proficua indicazione ci viene dalla bella prefazione di Miriam Mafai al Vocabolario. Che ci ricorda come la grande spinta emancipazionista, apertasi in Italia negli ani 70, e culminata con la vittoria sull’aborto nel 1978, sia stata ricacciata indietro già a partire dagli anni 80 (anni edonistici e rampanti. A proposito di paradossi!). Quando, dopo il Nuovo Concordato di Craxi - blanda riforma che cancella l’idea della «religione di stato» ma non del tutto - Giovani Paolo II spegne sul nascere la possibilità di regolamentare civilmente le unioni di fatto.
Da allora - e il Vocabolario stesso in molte sue voci lo richiama - si afferma esplicitamente un principio che neanche negli anni più aspri del dopoguerra e nemmeno nel ventennio era stato teorizzato apertamente: la vera Grund Norm dello stato italiano è la legge naturale coincidente con la legge cristiana. La Chiesa romana in altri termini, riconosce certo la laicità come autonoma sfera dell’agire politico. Ma la assume appunto come sfera distinta e sotto-ordinata. Autonoma sì, ma non sovrana e rispondente alle regole della sovranità secolare. Di fatto quindi eteronoma, e priva di autonoma potestas.
È una rivoluzione teologica all’indietro, che fa saltare il fragile equilibrio tra le due sfere, raggiunto con fatica lungo il dopoguerra e codificato - benché con le contraddizioni del Concordato all’art. 7 - nella carta Costituzionale. E la contronovità via via si aggrava. Non solo per i problemi mondiali legati all’irruzione del conflitto identitario e religioso, dove la teologia planetaria della Chiesa reclama il suo ruolo di tutela globale. Si aggrava perché che salta la cultura sociale del cattolicesimo italiano, argine laico e di massa alle pressioni della Chiesa. Dopo il crollo infatti del popolarismo dc, il cattolicesimo politico è immediatamente esposto al richiamo Vaticano, che ai cattolici si riferisce uti singoli e non come forza politica autonoma. A questo punto è la nuova destra che salta in groppa al fondamento religioso, con un mix di decisionismo e integralismo (cinico e all’italiana). E la sinistra? Incerta anch’essa sul suo laicismo ed ecumenicamente dialogante, dinanzi a un Papa che reputa il dialogo inamissibile e fomite di Relativismo. Perciò consigliamo a questa sinistra la lettura del Vocabolario di Fochi. Contiene molte vitamine per la sua smorta identità.
Repubblica 14.1.09
Quando la psiche è condannata a vegetare
di Franco Cordero
Tristi riflessioni sulla sventurata in stato vegetativo da diciassette anni: lasciamola andare, chiede il padre; niente lo vieta, rispondono i vertici giurisdizionali; andava stabilito se sia lecito interrompere l´alimentazione coatta. Interviene la gerarchia ecclesiastica, soi-disante suprema istanza nelle questioni supreme, de vita ac morte (la dottrina dell´aldilà fonda poteri molto terreni), e sarebbe una questione onestamente discutibile se la campagna non reinnescasse anacronismi d´antica ferocia cattolica nello stile «vivamaria», scatenando conflitti costituzionali. Il pirata re d´affari, padrone de facto del paese, veste livrea ateo-clericale: i preti gli vengono utili nella conquista del poco Stato che rimane; perciò tenta un coup de main dei suoi, cambiare le norme decretando sul tamburo l´obbligo assoluto d´alimentare ogni corpo umano che versi nello stato d´E. E. Fallita la mossa, perché il Presidente delle Repubblica non promulgherebbe tale decreto, e in tal senso l´avverte, l´eversore permanente, truculento analfabeta, minaccia un pandemonio: la Carta era nata sotto insegna filosovietica; chiamerà il popolo a riscriverla. Nell´Italia 2009 l´uso del pensiero è ancora provvisoriamente libero. Approfittiamone distinguendo nel caso de quo idee, fantasie, affetti, interessi, cinismo politico, moti viscerali.
Il mondo è un teatro dagli spettacoli spesso cattivi: tali risultano secondo metri umani evoluti; e se la messinscena corrispondesse al cosiddetto Intelligent Design, sarebbe un´intelligenza alquanto debole o maligna. Tiene banco il caso della donna il cui cervello è inerte, spento da un trauma diciassette anni fa: vegeta, alimentata con una sonda; stato irreversibile; il risveglio ha le probabilità d´una ricrescita della testa al decapitato; non basterebbe un miracolo (Baruch Spinoza, ebreo scomunicato, notava ironicamente come i miracoli stiano sul filo delle cause naturali, nei limiti d´una modesta anomalia); semiviva, non pensa né sente. Che abbia bell´aspetto, come racconta un Eminentissimo testimone, è battuta d´umorismo macabro: dopo gli anni d´immobilità quel povero corpo sa d´albero atrofico; e il padre chiede all´autorità tutelare un provvedimento che permetta la sospensione del nutrimento coatto. Lasciamola andare dove finiremo tutti. Corte d´appello e Cassazione rispondono in termini positivi. Mater Ecclesia lancia anatemi: la paziente (termine improprio, visto che «non patitur», mancandole i sensi) è persona; ha un´anima; toglierle acqua e alimenti costituisce omicidio. Il caso tocca nervi scoperti. L´apparato ecclesiastico è l´ancora ragguardevole resto d´un impero fondato sull´aldilà: sacramenti, suffragi, indulgenze; quando la moneta tintinna nella cassa, l´anima purgante vola in paradiso, annuncia Johann Tetzel, 1517, domenicano, predicando l´indulgenza bandita nei domini tedeschi episcopali e Brandeburgo, i cui proventi Sua Santità Leone X spartisce con Alberto Hohenzollern e l´Imperatore Massimiliano. Lutero, monaco agostiniano, contesta lo pseudocristiano affarismo papale. I cultori del potere non demordono e la Chiesa romana perde mezza Europa. Cinque secoli dopo perdurano logiche profonde: interessi molto terreni spiegano l´anacronismo cattolico; scendono in campo rumorosi vivamaria; sfila l´ateismo clericale e presto piangeranno le Madonne. Ma vediamo la questione teologale.
«Anima», dal greco ánemos, vento. Iliade e Odissea non dicono cosa sia, finché il corpo vive: poi esce dalla bocca o attraverso la ferita mortale; non era il principio vitale; chiamiamo «vita» le operazioni d´un corpo vivo, finite le quali la psyché vola via, ombra o éidolon. Il rogo la separa definitivamente dal mondo: e sono residui fatui quelle che Odisseo evoca alle porte d´Ade; solo dopo avere bevuto il sangue delle vittime riacquistano un´effimera identità cosciente. In dottrina orfica diventa l´autentica persona, chiusa nel corpo (prigione o tomba) e destinata a reincarnarsi finché riti salutari la liberino dal ciclo. Platone insegna un´immortalità individuale: l´anima appartiene al mondo soprasensibile, come le idee (tale parentela costituisce un punto oscuro della fantasmagoria platonica); la filosofia diventa metodo della morte salutare. Aristotele ne distingue tre: vegetativa, sensitiva, intellettiva; le prime due sono un ectoplasma verbale, operazioni dell´organismo vivo (qui l´autore ragiona da fisiologo); l´ultima è indipendente dal corpo; agisce ab extra, immortale, divina, impersonale (secondo Alessandro d´Afrodisia e Averroè). Sant´Agostino la concepisce nel senso platonico, sub-stantia, ma rimane perplesso su come venga al mondo, creata singolarmente da Dio o connessa al processo genetico, «ex traduce».
San Tommaso assimila Aristotele fin dove i dogmi lo permettono: ogni tanto gioca sulle parole; qui postula il «demonstrandum», che l´organismo vivo contenga un quid distinto dallo stesso. Mosse simili violano una regola capitale d´economia del pensiero, formulata dall´inglese Guglielmo d´Occam, francescano ribelle (1280-1349 circa), ma l´applicavano e l´applicano d´istinto tutti i ragionatori seri: mai presupporre più del necessario; se A e B spiegano C, ogni premessa in più confonde i discorsi o produce schiume verbali vaniloque, mai innocue. Il corpo nel quale siano attive date funzioni, ora surrogabili dal lavoro d´una macchina, vegeta: attribuire tale stato all´anima vegetativa è abuso verbale; idem la sensitiva, né le cose stanno diversamente rispetto all´intellettiva; chiamiamo vita psichica date situazioni organiche implicanti midollo, cervello, nervi, ghiandole, organi percettivi. Dal lavoro scientifico emergono quadri causali indefinitamente perfettibili: l´ipotesi cade quando il fenomeno in questione manchi, presente l´asserito fattore; o ricorra sebbene manchi lo stesso; i termini ridondanti la mistificano, tanto più quando non significhino niente o discendano da livelli mentali primitivi, come se, dovendo dire cosa siano i temporali, oltre a vapori, temperatura, cariche elettriche, tirassimo in ballo Jovem pluvium. Così discorre san Tommaso: avendo stabilito che debba esservi un´«anima rationalis», ne disegna la storia: la crea Dio attraverso innumerevoli interventi nel tempo, tanti quanti furono, sono, saranno gli animali umani. In qual modo la crea? Infondendola al corpo: «haereticum est» dire che venga dal seme, un´opinione sfiorata da sant´Agostino in fraterna polemica con san Girolamo. Situata al grado infimo delle «substantiae intellectuales», diversamente dagli angeli «non habet» un´innata «notitiam veritatis»: l´acquista attraverso cognizioni fornite dai sensi; bisognava dunque che fosse legata al corpo, ma «est incorporea», incorruttibile, immortale, i quali ultimi due predicati implicano una scissione dalla materia organica con gravi paradossi; siccome informa l´intero corpo, non risiede in una singola parte; né cambia mai involucro. Tuttavia esistono anime separate: uno stato «quodammodo contra naturam», transitorio perché alla fine i corpi risorgono; e separandosi subisce una mutazione; ormai è fissa nel senso buono o cattivo; «habet voluntatem immobilem» (Summa Theologiae, Commento a Pier Lombardo, Opuscula). Secondo i metri dell´empiricamente plausibile, la fiaba tomista segna un regresso dalla visione omerica degli éidola.
Su tali fondamenti, piuttosto esigui, l´apparato ecclesiastico ha aperto una campagna trovando alta udienza. Non stupisce, visto che governa l´Italia un pirata, re d´affari: ateo come tutti i caimani, veste livrea clericale; da trent´anni spaccia oppio televisivo e aborre l´intelligenza ma non sbaglia un colpo nei calcoli del tornaconto; sostenuto dai preti, occuperà i rimasugli dello Stato; perciò voleva scardinare la res iudicata imponendo il nutrimento coatto con norme penali decretate d´urgenza. Dal Quirinale arriva un avviso: l´eventuale decreto non sarebbe promulgato; e lui minaccia rendiconti plebiscitari. Ventiquattr´ore dopo insulta il padre d´E. E. spiegando a milioni d´italiani che vuol disfarsi della figlia scomoda (l´aveva già detto un monsignore): la proclama idonea a gravidanza e parto; farfuglia torvo d´una Carta da riscrivere; vuol legiferare da solo, mediante decreti, in una corte dei miracoli tra asini che dicano sì muovendo la testa. Siccome siamo in tema d´anime, ripuliamola con l´ultima strofa dei Poèmes antiques: «Et toi, Divine Mort, où tout rentre et s´efface,/ accueille tes enfants dans ton sein étoilé;/ affranchis-nous du temps, du nombre et de l´espace,/ et rends-nous le repos que la vie a troublé». Leconte de Lisle, 1818-1894, aveva gusti fini e sentimento caritatevole.
il Riformista 14.2.09
Testamento biologico
Dorina Bianchi: «Ecco la correzione di rotta del Pd»
di Alessandro Calvi
Nessun cambio di linea sul testamento biologico, assicura il segretario del Pd, Walter Veltroni. Una correzione di rotta, però, questo sì, a partire dal fatto che nutrizione e idratazione non saranno più considerate terapie e dunque la rinuncia diventerà «fatto eccezionale». A spiegarlo, è Dorina Bianchi, neo capogruppo Pd in commissione Sanità al Senato, in questi giorni al centro di un caso per aver preso il posto di Ignazio Marino con una tempistica che qualcuno ha ritenuto sospetta. «Si voleva attendere il voto sul testamento biologico soltanto perché sono cattolica?», contrattacca la Bianchi, annunciando che farà proprio il maxiemendamento anticipato dallo stesso Marino al Riformista sulle cure palliative e ne sarà firmataria.
Allora senatrice, cosa è accaduto?
Nulla che non fosse già previsto. Ignazio Marino è presidente della commissione di inchiesta sul Servizio sanitario nazionale da tre mesi. Ciò significa che sono tre mesi che avrebbe dovuto lasciare il posto in commissione Sanità. Si doveva cambiare prima ma non è stato fatto. Ora però la commissione di inchiesta inizia a lavorare a pieno ritmo e non era più possibile che Marino riuscisse a fare tutto.
Insomma, un normale avvicendamento?
Una conseguenza della necessità di avere un capogruppo nella commissione Sanità e un presidente della commissione sul Ssn nel pieno delle proprie funzioni.
Avrà letto che non tutti la pensano così. Anzi, sui giornali si è scritto di una tempistica sospetta e anche di un cambio di linea del Pd. C'è chi sostiene che la sua elezione è il prezzo pagato da Veltroni per non avere contro Marini e Fioroni.
Senta, allora le voglio chiedere io una cosa: perché Dorina Bianchi pur essendo stata votata a scrutinio segreto da tutti avrebbe dovuto aspettare la fine della discussione sul testamento biologico per entrare in carica? Forse perché sono cattolica? In questi giorni abbiamo assistito a un rovesciamento della realtà, frutto di una visione ideologica. Non si spiega altrimenti perché avrei dovuto attendere ancora.
Dunque, non c'è da attendersi nessun cambio di linea?
Il Pd in passato ha presentato diverse proposte di legge tra le quali quella di Marino. Io non ne ho firmata nessuna, neppure quella Baio. Me ne sono tenuta lontana in tempi non sospetti. Rispetto a questo lavoro, la mozione votata dal Pd in aula - che ricalca il lavoro fatto dal "gruppo dei 6" - è un passo avanti. Vi si sostiene che alimentazione e idratazione sono da considerare come finalizzate al sostegno vitale e non sono assimilabili all'accanimento terapeutico e che, dunque, se ne può disporre soltanto in casi eccezionali. È proprio su questo elemento, l'eccezionalità, che ora si dovrà lavorare. Sebbene il Pd sia stato sinora orientato soprattutto verso il testo Marino, sono sicura che entro pochi giorni presenteremo emendamenti che saranno espressione di tutti.
La sensazione è che, se non un cambio di linea, si sia arrivati a una correzione di rotta.
Forse sì, ma non certo a seguito della mia elezione. Il partito ha votato una mozione.
Lei avrebbe votato il ddl del governo su Eluana. Ora come capogruppo dovrà sostenere una posizione diversa. C'è una contraddizione evidente.
Del ddl su Eluana ho criticato la intempestività perché il Parlamento aveva preso l'impegno ad arrivare a una legge entro il 30 dicembre. Interveniva però in un caso particolare in cui non esisteva la dichiarazione anticipata di trattamento. In ogni caso, la penso come Marini: la libertà di coscienza è alla base dello stare insieme nel Pd.
Repubblica 14.2.09
L’eros spiegato ai bambini
di Jean-Luc Nancy
Un filosofo, Jean-Luc Nancy analizza impulsi e contraddizioni partendo da una celebre filastrocca
La carezza è un gesto sensuale rivolto all´essere dell´altro. È un tocco che esprime affetto speciale
Lui e lei rischiano Ognuno deve fare a meno del ripiegamento su di sé e del proprio narcisismo
Oggi giungerà San Valentino, Internet e le vetrine dei negozi sono pieni di suggerimenti per i regali da offrire a coloro che amiamo. Ma noi sappiamo anche che i regali possono non corrispondere affatto a un amore e addirittura possono mascherare un´assenza d´amore. Il regalo può tradurre la nostra predilezione, ma può anche non tradurre un bel niente, o soltanto la voglia di far vedere che ho fatto immensi sacrifici per poter offrire una collana, un diamante o chissà che altro.
Il gesto d´amore è quindi inevitabilmente la carezza, che non è subito una carezza sensuale, ma il gesto con cui mi rivolgo all´essere dell´altro, alla sua presenza. La carezza è un tocco che esprime un affetto speciale: noi infatti evitiamo di toccare le persone che non conosciamo affatto, quando siamo su un mezzo pubblico evitiamo il contatto con gli estranei a meno che non vi siamo costretti dall´affollamento. E d´altra parte, se noi toccassimo qualcuno deliberatamente questo gesto potrebbe essere visto come un tentativo di rimorchiare, una mimica di approccio amoroso.
La carezza ci insegna che quel che conta nell´amore è la presenza dell´altro, il tocco dell´altro, e in certo modo, nient´altro. Cosa vuol dire questa pura presenza senza niente d´altro? Significa che la sola cosa che conta è che l´essere dell´altro sia in me, inseparabile da me. Nell´amore, l´altro non diventa me, non si identifica con me, ma i due sono inseparabili, non possono fare a meno l´uno dell´altro come si dice, senza però essere uno solo, dato che per l´appunto sono due.
Questo non va esente da rischi, grandissimi rischi. Possiamo sbagliarci e confondere l´immagine dell´altro che portiamo in noi, cioè dell´altro così come noi lo vediamo, con la sua realtà, che è per forza diversa. L´esercizio dell´amore consiste proprio interamente nel compiere un continuo andirivieni fra l´altro reale e l´immagine così potente che abbiamo di lui.
Non è facile e può capitare che non ci si riesca, avete presente anche voi quante canzoni raccontano di storie d´amore finite male. L´amore espone a un rischio grandissimo, ma questo rischio è commisurato all´incredibile valore che diamo a un´altra persona. E noi le diamo questo incredibile valore perché ne abbiamo bisogno, perché ne riceviamo qualcosa.
L´amore ci dice che non stiamo mai veramente bene quando siamo soli, non siamo fatti per essere soli, così come non siamo fatti per stare in grandi gruppi. Ma non è soltanto questione di «star bene» con l´altro: è sapere che «c´è qualcosa fra noi», come si dice. Siamo fatti in modo tale da stabilire rapporti in cui «c´è qualcosa» fra noi e un altro o un´altra - qualcosa che non sarà mai possibile definire, ma un autentico rapporto, nel senso pieno della parola. Non dico che siamo tutti e sempre fatti per trascorrere l´intera vita con una sola persona e sempre con la stessa. Certo, l´amore ci porta ad affermare questo, parliamo di «amore eterno», ci giuriamo di amarci per sempre e poi qualche volta tutto finisce già nel giro di tre giorni: ma ciò fa parte del rischio di questo impegno assoluto.
Ma veniamo alle due ultime tappe della nostra filastrocca, «follemente, per niente». Per quanto riguarda «follemente», in realtà ci siamo già arrivati. C´è come una specie di follia nel rischio, nell´impegno, nel fatto di scegliere di dare all´altro e di ricevere dall´altro un valore al di là di ogni valore.
Esuliamo da tutto quel che è ragionevole nei rapporti fra le persone, ci impegniamo più di quanto potremmo fare altrimenti. Ci apriamo, ci sbilanciamo, e ci esponiamo a molto, è molto difficile sapere a che punto l´altro ci chiederà troppo. Ho ragione di ritenere che lui (lei) stia esigendo troppo o sono io a non saper andare abbastanza lontano? È una faccenda estremamente delicata, pericolosa, difficile. Questo rapporto così forte e unico fra due persone è difficilissimo, ciascuno dei due rischia molto perché ciascuno deve imparare a fare a meno della sua autosufficienza, del ripiegamento su di sé, di ciò che chiamiamo narcisismo.
La mia tranquillità è in pericolo, l´amore non porta quiete. Ma quando la non-tranquillità entusiasta precipita verso l´inquietudine angosciata, allora non va più bene.
Al limite dell´amore si trova persino la possibilità di distruggersi l´un l´altro. Il sogno degli amanti in tutte le grandi leggende è di morire insieme, come Giulietta e Romeo. Capita molto spesso alle anziane coppie che hanno vissuto insieme tutta la vita, di provare il desiderio di morire insieme. È molto penoso per loro pensare che uno sopravvivrà all´altra e dovrà proseguire da solo nella vita. L´idea di morire insieme vuol dire che la morte sarebbe forse l´unico modo di essere completamente insieme, mentre al contrario non esiste nulla di più vivo dell´amore.
Ma c´è anche una specie di follia quando l´amore ci chiede troppo. L´amore entusiasma, esalta, può portarci a chiedere troppo all´altro, a noi stessi, è una follia, ma una follia che dà la sua vera misura, una misura smisurata. L´amore chiede all´altro contemporaneamente una totale libertà e una totale appartenenza. In un certo senso la richiesta dell´amore è contraddittoria. Bisogna saper affrontare questa contraddittorietà.
Nel gioco della margherita speriamo sempre di terminare con «follemente». Appassionatamente, già non è male. Ma subito dopo «follemente», si arriva a «per niente», perché tutto può aver fine, spezzarsi senza ragione, così come ha avuto inizio. Questo non vuol dire che alla prima piccola contrarietà si debba lasciar perdere; se questo accade, allora non era amore. Ma se la contrarietà è più grande e durevole, può darsi che sia necessario e giusto fermarsi.
Il «per niente» della filastrocca vuol dire che l´amore, anche l´amore più vero, si può sempre perdere. Non è mai garantito; se un amore fosse garantito, non sarebbe amore. Noi facciamo solenni promesse, «ti assicuro, ti giuro» - è giusto farlo, in amore, ma noi sappiamo, come diceva un grande filosofo morto qualche anno fa, Jacques Derrida, che le promesse non esisterebbero senza la possibilità di non mantenerle.
La promessa lascia la possibilità di non essere mantenuta, non è un contratto, non esistono i contratti d´amore ma esiste la promessa. Con la promessa mi impegno, il che significa che voglio mantenerla eppure forse non la manterrò e questo non sarà per forza una colpa. Questa è un´altra faccenda ancora, la storia «di chi è la colpa?» se qualcosa va storto... Forse non c´è mai, o raramente, una semplice colpa, né la colpa è semplicemente di uno o dell´altro. Ma c´è solo l´essenziale fragilità, la temibile fragilità e difficoltà dell´amore.
Eppure la parola-simbolo dell´amore è proprio la fedeltà. Ancora una volta, questo non vuol dire che se l´amore finisce o se uno dei due tradisce, questo sia colpa di qualcuno. Ma ciò non impedisce che il simbolo dell´amore sia la fedeltà, parola che viene dalla stessa famiglia di fiducia e fidanzamento. Oggi, le persone si sposano meno di quanto facessero prima, ma ci si continua a fidanzare. In realtà, il fidanzato, la fidanzata, vuol dire colui o colei che promette, che dà la sua fiducia, la fedeltà che appartiene all´ambito della fede. L´anello che rappresenta l´«impegno d´amore» si chiama «fede». Non si tratta di un impegno a fare questo o quello di preciso, ma soprattutto a essere con l´altro, per l´altro, in un rapporto unico con ciò che l´altro è e con il suo stesso esistere.
Corriere della Sera 14.2.09
Anoressia, ora tocca agli uomini
Triplicato il numero di quelli che ne soffrono Un giovane su quattro è ossessionato dal peso
di Simona Ravizza
Identikit Sette su dieci sono diplomati, più della metà ha un reddito da classe media, tra i 19 e i 40 anni i più colpiti
Cause Prima l'attenzione maniacale per il fisico, poi l'odio per il cibo. Le radici in una vita di coppia sbagliata
L' attore hollywoodiano Dennis Quaid c'è cascato durante le riprese del western Wyatt Earp. Per interpretare il ruolo del celebre pistolero Doc Holliday, l'ex marito di Meg Ryan perde venti chili. Ma ben presto il suo dimagrimento si trasforma da esigenza di copione in malattia: l'anoressia. Quando la sua confessione esce sulla rivista Best Life è il 1994, e l'ossessione della bilancia al maschile appare un problema da divi: nella vita quotidiana i disturbi alimentari sono comunemente considerati roba da donne. Acqua passata. Oggi in Italia gli uomini che soffrono di anoressia sono 670 mila sui 3 milioni complessivi di malati (quasi l'80% sono ancora donne). È un numero che si è triplicato dall'inizio del Duemila. Lo dicono i dati dell'Aba, l'Associazione per la ricerca sull'anoressia, la bulimia e i disturbi alimentari (www.bulimianoressia. it, numero verde: 800.16.56.16). «È un fenomeno in crescita esponenziale — denuncia Fabiola De Clercq, fondatrice e presidente di Aba —. Adesso non si possono più chiudere gli occhi. All'origine, come per il sesso femminile, rapporti difficili con i genitori, vita di coppia sbagliata, traumi infantili ».
Uomini in guerra con il cibo
Nell'opuscolo diffuso nel 2005 dal ministero della Salute e da quello delle Pari opportunità, la stima degli anoressici ruota intorno all' 1% della popolazione maschile tra i 10 e i 60 anni (200 mila su un totale di 19 milioni e 500 mila cittadini). Dopo neppure quattro anni la percentuale è salita al 3%. Colpa di un'attenzione sempre più maniacale al fisico. Per le femmine l'obiettivo è entrare nei jeans taglia 36 di Zara, i maschi vogliono un corpo tutto muscoli e addominali. Di qui il termine vigoressia, utilizzato per indicare la fissazione per il fisico iper-palestrato, risultato di ore trascorse ad allenarsi, diete a basso contenuto calorico, occhi fissi sulla bilancia e controlli continui della muscolatura allo specchio. Nonostante la trasformazione del corpo i vigoressici si vedono sempre gracili e flaccidi. Fino a uccidersi di fatica e fame.
Non contano né titolo di studio né ceto sociale: quasi sette pazienti su dieci hanno in tasca il diploma (il 12% addirittura la laurea), il reddito è quello tipico della middle class per il 56,2% (per il 28,5% è alto, solo per il 15,3% basso). I più colpiti sono i maschi tra i 19 e i 40 anni (pari al 55,5% dei casi). Inutile sorprendersi: uno studio condotto nel 2006 dallo Iard, istituto specializzato nello studio dei fenomeni giovanili, mostra che un ragazzo su quattro tra i 15 e i 34 anni è ossessionato dal peso (per intercettare soprattutto i giovanissimi Palazzo Chigi ha appena istituito il sito web www.timshel.it).
Ma non finisce qui. Ormai l'anoressia maschile è diffusa a qualsiasi fascia d'età: il 7% dei malati ha meno di 12 anni, il 21% tra i 12 e i 18, il 16,5% è over 40. La comparsa dei disturbi alimentari avviene sempre prima. Ci sono, infatti, bambini che si ammalano già alle elementari.
Anoressici a dieci anni
Sono le dieci del mattino di ieri quando Stefano Vicari apre la posta elettronica. È il primario di Neuropsichiatria infantile dell'Ospedale Bambino Gesù di Roma (consulenza telefonica 24 ore su 24 allo 06.6859.2265, www.ospedalebambinogesu. it). In arrivo l'email della mamma di un bambino di dieci anni, alto un metro e 50, 31 chili. È una testimonianza che riassume la storia dei quasi 60 mila adolescenti che hanno visto comparire i disturbi alimentari prima di compiere i 15 anni (per l'8,5% dei maschi, infatti, l'esordio dell'anoressia avviene tra le elementari e le medie).
«Mio figlio è pelle e ossa: da novembre a oggi ha cominciato a non prendere più peso nonostante la sua crescita continua — scrive la donna —. Quando mi hanno chiamato a scuola per rinnovare il pagamento della retta per la mensa, ho scoperto che non mangia con la scusa che non gli piace nulla. Quando gli chiedo di cenare mi guarda con aria di sfida. Non vede l'ora di fare calcio, ma non per questo mangia di più. È convinto che magro sia bello. Io sono sempre stata piuttosto attenta alla linea e fissata con le diete. Non ho mai avuto neanche molta simpatia per i bimbi sovrappeso. Ma adesso sono davvero preoccupata ». Spiega Vicari: «In casi simili è indispensabile l'intervento di uno specialista. Il rifiuto del cibo può sfociare in disturbi alimentari gravi. Su 130 ricoveri l'anno per anoressia al Bambino Gesù almeno dieci sono maschi. È una malattia prevalentemente psichiatrica, seppure con un forte coinvolgimento del fisico, di cui si ha una percezione alterata ».
Diagnosi tardive
Le terapie sono prevalentemente psicologiche. «La sfida è riuscire a seguire i pazienti in modo multidisciplinare — sottolinea Giovanni Spera, docente di Medicina interna all'Università La Sapienza e responsabile del Centro dei disturbi alimentari del Policlinico Umberto I di Roma —. Bisogna curare il fisico debilitato, ma anche e soprattutto la psiche».
De Clercq è fiduciosa: «Gli uomini che si curano riescono a guarire almeno in sei casi su dieci. Ma per il sesso maschile il problema è la diagnosi tardiva. Loro si vergognano ancora più delle donne a chiedere aiuto ».
Gabriella Gentile, a capo del Centro dei disturbi del comportamento alimentare del Niguarda di Milano, 800 casi l'anno, il 10% che riguarda uomini (telefono 02.6444.2375, centrodca@ ospedale niguarda. it): «I ritardi nella diagnosi sono dovuti anche all'assenza di amenorrea, tipico disturbo femminile che fa frequentemente da spia per i disturbi alimentari».
Insomma: per gli esperti le statistiche che parlano di 670 mila malati sono riduttive. Ma una cosa è certa, come canta un altro vip che ha fatto i conti con la malattia, Daniel Paul Johns del gruppo australiano Silverchair, sei milioni di album venduti nel mondo: «Ana wrecks your life, Like an Anorexia life» Ana — che sta per la malattia — fa a pezzi la tua vita, come una vita di Anoressia.
Corriere della Sera 14.2.09
Lo psichiatra. L'esercizio fisico portato all'estremo maschera il disturbo alimentare finché non si manifesta chiaramente la malattia
«Il maschio si nasconde dietro comportamenti da atleta»
di Mario Pappagallo
Il padre che vuole imporre al figlio il modello del campione sportivo muscoloso e magro può essere una causa scatenante della patologia Psichiatra Mario Maj
Ma chi ha detto che anoressia e bulimia sono disturbi soltanto femminili? «E' vero, comunemente lo si pensa. Ma così non è». Mario Maj, 55 anni, seconda università di Napoli. E' a Roma per il tredicesimo Congresso della Società italiana di psicopatologia (Sopsi), di cui è presidente come lo è della Società mondiale di psichiatria (Wpa). Maj parla con i numeri. Eccoli: «I dati epidemiologici riportano una percentuale di maschi affetti da anoressia nervosa che varia dal 5% al 10% di tutti i pazienti che soffrono di tale patologia. Per quanto riguarda la bulimia nervosa sono addirittura il 10%-15% del totale dei casi». Ma si stima siano anche di più: circa il 20%.
I maschi anoressici, rispetto alle donne, sono meno preoccupati per il peso corporeo, meno insoddisfatti del proprio corpo e più interessati alla forma fisica in termini di accresciuta muscolosità e perdita di grasso. Gli uomini non presentano particolari preoccupazioni, ad esempio, per la grandezza delle cosce, delle anche e delle natiche, non essendo target adeguati di muscolosità. Sono invece interessati alla dimensione di spalle, vita e braccia. Target diversi. Da modella al femminile, da palestrato al maschile.
Quali i metodi adottati per essere «in forma» nella malattia? «Per controllare peso e forma — risponde Maj —, gli anoressici utilizzano lassativi e altri farmaci in maniera minore rispetto alle anoressiche (25% contro il 50%), ma sono maggiormente coinvolti in attività sportive che enfatizzano la forma fisica e sono più portati a utilizzare l'esercizio eccessivo come condotta di compenso. Sembra anche delinearsi nei maschi la tendenza a "nascondere" il disturbo alimentare dietro regimi alimentari previsti da attività come l'atletica e il jogging, considerate nella collettività espressioni di una sana condotta di vita». Insomma, lo sport «nasconde» la malattia. Non sembrano poi emergere grosse differenze fra i due sessi per quanto riguarda il perfezionismo o i rapporti interpersonali.
E l'identità sessuale? Maj annuisce: «Si stima che la percentuale di maschi anoressici che abbiano avuto esperienze o relazioni omosessuali vari dal 15 al 50% (contro l'1-6% nella popolazione maschile generale) e sia otto volte maggiore rispetto a quella riscontrata nelle donne anoressiche». L'identikit riguarda anche le famiglie. Studi condotti descrivono situazioni di abuso, separazione e divorzio dei genitori non dissimili dal campione femminile, ma presenti in misura maggiore rispetto ai maschi non affetti da disturbo del comportamento alimentare. Maj sottolinea: «L'ambiente familiare pare essere caratterizzato da un'alta richiesta di perfezione: i figli, nel tentativo di rispondere a queste richieste, spesso vivono sentimenti di scarsa autostima ed inadeguatezza». E aggiunge: «I padri dei maschi anoressici chiedono spesso ai propri figli di eccellere nello sport e di raggiungere un fisico muscoloso e mascolino ». Tarda adolescenza, prima età adulta: è il periodo in cui l'anoressia nervosa può colpire il cosiddetto sesso forte. Pressappoco lo stesso che nelle donne. «Anche se alcuni studi riportano la tendenza ad un esordio più tardivo e ad una durata di malattia inferiore — dice Maj —. Nei maschi la diagnosi risulta più difficile soprattutto a causa dell'assenza dell'amenorrea (assenza di mestruazioni), uno dei criteri diagnostici che nelle donne viene considerato indice di malnutrizione prolungata e di facile identificazione. La perdita di interesse sessuale e gli episodi di impotenza possono essere considerati indici altrettanto indicativi di uno stato di malnutrizione prolungata, ma sono di più difficile riconoscimento».
E conclude: «Anche perché i maschi hanno la tendenza a posticipare la richiesta di cure». La visita dallo psichiatra? Da evitare. «Mica siamo pazzi!», pensano e confermano. Così i numeri non tornano.
Corriere della Sera 14.2.09
Ipotesi dai test in laboratorio: il ruolo dell'acido ribonucleico (Rna) per l'origine della biologia
La vita? Un acido l'ha accesa
In provetta le molecole crescono. Sulla Terra trovarono una nicchia
di Giuseppe Remuzzi
In 30 ore l'Rna si replica 100 milioni di volte Ambiente adatto 3-4 milioni di anni fa Le ricerche allo Scripps Institute e ad Harvard
Come è cominciata la vita e perché non provare a farlo in laboratorio? «Fantascienza» dirà qualcuno. E lo era, certo fino a ieri, ma c'è chi sta provando davvero e con diverse prospettive a sciogliere il più affascinante dei misteri. Tre-quattro milioni di anni fa il mondo era fatto di oceani e lande vulcaniche. C'era una temperatura di 60-70 gradi, pochissimo ossigeno, anidride carbonica e azoto. «Chissà — ha pensato Stanely Miller nel '53 — che fra gas e fulmini non si siano create sulla Terra le condizioni per arrivare a composti organici, e poi a proteine, a cellule, in una parola alla vita». Così ha fatto scoccare una scintilla in una camera piena di ammonio, metano e altri gas. Si sono formati composti organici e aminoacidi, i costituenti fondamentali delle proteine. Ma nella miscela di Mill er i gas che c'erano davvero sulla Terra milioni di anni fa non c'erano. Quegli esperimenti sono stati ripetuti agli inizi degli anni Novanta usando i gas giusti ma così aminoacidi non se ne formavano proprio. S'è pensato che Miller avesse preso un abbaglio e per un po' questi studi sono stati abbandonati. Finché James Cleaves e Jeffrey Bada, ultimo studente di Miller, hanno ripreso i vecchi esperimenti con un'idea nuova. Sospettavano che se si parte da anidride carbonica e azoto si formano composti capaci di degradare gli aminoacidi. Così hanno ripetuto gli esperimenti del maestro con certi tamponi capaci di neutralizzare i composti azotati prima che possano danneggiare gli aminoacidi. In quelle condizioni aminoacidi se ne formavano eccome, e ce n'erano perfino di nuovi rispetto a quelli che aveva trovato Miller (Corriere, 17 ottobre 2008). Una volta stabilito che a partire dai gas dell' atmosfera primitiva si può arrivare a composti organici (con o senza l'aiuto dei fulmini, perché formaldeide e aminoacidi ci sono anche nelle meteore) il problema era capire come si passa dalle molecole organiche all'acido ribonucleico (Rna). L'Rna è fatto di nucleotidi legati fra loro. Ciascun nucleotide è composto di tre parti, la base (la lettera dell'alfabeto dei geni) una molecola di zucchero e un aggregato di atomi di fosforo e ossigeno che legano ciascuno zucchero a quello che viene dopo.
I ricercatori hanno provato per anni a sintetizzare Rna in laboratorio producendo basi e zuccheri e poi cercando di legarli fra loro con dei fosfati, ma così non funziona, tanto che qualcuno ha pensato che la vita di organismi fatti di Rna sia un gradino successivo rispetto a molecole più semplici che forse sono comparse sulla terra prima dell'Rna. Ma negli ultimi mesi le cose sono cambiate. Diversi ricercatori sono stati capaci di arrivare all' Rna da molecole semplici, proprio quelle che si trovavano sulla terra milioni di anni fa. I dettagli del percorso che ha portato a questi risultati non sono ancora completamente noti, ma lo saranno presto. Se lo si può fare in laboratorio non sorprende che l'Rna si possa essere formato spontaneamente sulla superficie della Terra dove, allora c'erano condizioni favorevoli. Queste reazioni hanno bisogno di una certa temperatura e un certo pH, proprio quello degli stagni di milioni di anni fa. Forse la vita è cominciata così, ma se tutto parte dall'Rna si dovrebbe ammettere che l'Rna è capace di replicarsi senza l'aiuto di altre proteine.
Proprio qualche settimana fa su Science, Tracey Lincoln e Gerald Joyce, che lavorano a Scripps Research Institute in California, hanno dimostrato che questo teoricamente è possibile. Hanno visto che frammenti di RNA sanno servirsi di nucleotidi liberi per unirsi a formare una molecola di RNA uguale alla molecola stampo già presente nella soluzione. Terminata la prima replicazione, le vecchie e nuove molecole di Rna si separavano divenendo stampi per una nuova replicazione. In 30 ore, la popolazione di Rna diventava 100 milioni di volte più grande.
Questo succede in provetta, ma sulla Terra milioni di anni fa l'Rna dovette trovarsi una dimora appropriata, una cellula insomma. Di questo si sono occupati altri ricercatori (tra questi Jack Szostak dell'Harvard Medical School di Boston) che hanno dimostrato come acidi grassi e altre molecole siano capaci di intrappolare Rna grazie a cicli di alte e basse temperature. Adesso Jack Szostak lavora per capire se si riescono a far evolvere queste protocellule con dentro il loro Rna a forme cellulari più avanzate. Sheref Mansy e David Deamer professori di bioingegneria a Boston e in California sono dell'idea che le strutture che hanno dato origine alla vita fossero molto semplici, acidi grassi fatti di alcol e zuccheri dispersi in un ambiente complesso. Vescicole, non cellule, avvolte da membrane del tutto prive di proteine di trasporto che però avevano imparato a prendere dall' ambiente tutto quello che serviva per sopravvivere e provare nel corso di milioni di anni a diventare cellule. E ci sono riuscite.
Corriere della Sera 14.2.09
Un intellettuale mitteleuropeo giudica il presente: bruciati tutti i valori, prevalgono restaurazione e rimozione del passato scomodo
Matvejevic. Siamo tutti ex
Destra, sinistra, comunisti pentiti, capitalisti delusi
di Predrag Matvejevic
Fino a qualche tempo fa attirava la nostra attenzione in primo luogo l'Est europeo, e un sistema sociale che crollava in quella parte della pianeta. Da meno di un anno, abbiamo iniziato a guardare non solo in quella direzione. I nostri sguardi s'incrociano e si perdono lontano, creando una paura quasi universale. Essa sembra unirci più che una globalizzazione che cercava a modo suo di «avvicinarci» gli uni con gli altri. Oggi, quasi tutto il mondo diventa più o meno «ex». Lo unisce la nostra inquietudine.
La caduta del Muro di Berlino e la fine della guerra fredda hanno visto una parte del mondo vivere un'esistenza in qualche modo postuma: un ex impero, numerosi ex Stati ed ex patti tra Stati, tante ex società ed ex ideologie, ex cittadinanze ed ex appartenenze, e anche ex dissidenze ed ex opposizioni. Era legittimo domandarsi che cosa significasse, in realtà, essere o dirsi «ex». Essere stato cittadino di un'ex Europa più o meno affrancata, di una ex Unione Sovietica disgregata, di una ex Jugoslavia distrutta? Essere diventato un ex socialista o ex comunista, ex tedesco dell'Est, ex cecoslovacco — cioè solo ceco o solo slovacco — , membro di un ex partito o partigiano di un ex movimento?
L'Est non aveva diritto esclusivo allo statuto di «ex». In Occidente e altrove, si conoscono bene degli ex stalinisti, ex colonialisti, ex-sessantottini (tanti, dappertutto), tutta una ex sinistra diventata nuova destra, una vecchia destra convertita al «neo liberalismo», una ex Democrazia Cristiana suddivisa tra destra e sinistra, che ha talvolta impoverito il cristianesimo senza arricchire la democrazia; una ex socialdemocrazia imbastardita sulla quale si sono innestati alcuni ex progressisti pentiti; un ex socialismo occidentale che si è tagliato via dalle sue stesse radici, un ex franchismo o un ex salazarismo diventati «europeisti ». Probabilmente, domani si parlerà di una ex Unione Europea che avrebbe rinnegato un Vecchio continente inerte e indeciso, colpevole per molti motivi. C'è un odore di ancien régime attorno a noi, odore d'infezione o di avaria. La morale sembra si adatti alle mille e una maniera di voltare gabbana, pronta a considerare qualsiasi rigore come una sopravvivenza.
Siamo anche testimoni di tante cose inattese e sorprendenti: quasi nessuno pensava che il «capitalismo finanziario» potesse fare tanto male al capitalismo stesso, metterlo in questione in un modo simile. Si pensava — e si prevedeva una volta — che a ciò avrebbe provveduto la lotta delle classi, radicalmente. Tanti di noi erano ingenui. La «crisi» che stiamo vivendo non permette più ipotesi scolastiche o riferimenti partitici. Dobbiamo viverla, non tutti nello stesso modo, ma sempre coinvolti, spesso malgrado noi stessi.
Dalla nostra esperienza precedente (penso a noi che abbiamo vissuto nell'ex Europa dell'Est), abbiamo appreso che lo statuto di «ex» è più grave di quanto non sembri a tutta prima: quell'«ex» è visto e vissuto come un marchio, talvolta come stimmate. È di volta in volta un legame, involontario, o una rottura, voluta. Può trattarsi di un rapporto ambiguo, quanto di una qualità ambivalente. Essere «ex» significa, da una parte, avere uno statuto mal determinato e, dall'altra, provare un sentimento di disagio.
Tutto ciò concerne tanto gli individui che la collettività, tanto la loro identità quanto le modalità della loro esistenza: una specie di ex istanza, a un tempo retroattiva e attuale. Il fenomeno è nello stesso tempo politico (o geopolitico se si preferisce), sociale, spaziale, psicologico. Pone più di una questione morale e mette in causa una morale precedente.
Non si nasce «ex», lo si diventa. Tanti rinnegamenti, rimaneggiamenti del passato o del presente sono in atto, auto-giustificazioni o aggiustamenti di percorso, fughe in avanti o all'indietro, modi di rifare o di disfare se non la propria vita almeno il nostro sguardo sulla vita.
Lo choc per quanto è accaduto e sta accadendo sembra tanto violento quanto imprevisto. Le transizioni, per quanto male assicurate all'Est, prevalgono ancora sulle trasformazioni. L'Occidente guarda innanzi tutto agli affari suoi. La democrazia proclamata in vari Paesi del mondo appare più spesso con le caratteristiche di una democratura (ho coniato questo termine all'inizio degli anni '90 per definire un ibrido tra democrazia e dittatura, non solo nei Paesi detti dell'Est). Un populismo penoso è sempre stato pronto a sostenere quasi tutti i regimi dubbiosi. La laicità è stata poco popolare in gran parte dell'Est e dell'Occidente, senza parlare del cosiddetto «Terzo mondo». Il «giocattolo nazionale» non ha mai perso la sua attrattiva. La cultura nazionale si converte facilmente in ideologia della nazione e sfocia spesso in progetti nazionalisti. L'idea di emancipazione scompare dall'orizzonte, «invecchiata» o «utopica ». I nostri discorsi sono sfasati, il loro centro di gravità sembra spostato.
Il mondo «ex» è pieno di eredi senza eredità, di svariate mitologie che si escludono reciprocamente: riedizioni del passato e del presente, immagini disparate e rimesse insieme alla leggera, schermi frapposti in fretta o griglie di lettura mal applicate, paradigmi messi in questione dalla loro stessa definizione. Le utopie e i messianesimi si vedono sistemati tra gli accessori di un passato irrecuperabile. Un aggiornamento della fede e della morale non sembra perseguito che in ambienti limitati e occasionalmente. Fino a poco tempo fa un post modernismo cercava, senza troppa fortuna, di imporsi sull'arte e sul pensiero per rimpiazzare ciò che nell'epoca precedente era stato acclamato come «moderno»: un ex modernismo criticabile, certamente, ma non insignificante. Le avanguardie, che hanno proclamato e svolto i loro ruoli, sono ormai «classificate». Le fonti della grande letteratura, generatrice di simboli, sembrano esaurite. Forme di decostruzione tendono a sostituirsi a sintesi poco soddisfacenti. Una nuova storia rifiuta di sottoporre la lunga durata, come la precedente, al vaglio degli avvenimenti. La vecchia università non è riuscita a riformarsi. L'invocazione dell'«immaginazione al potere» è da tempo dimenticata. Tutta una ex cultura non è riuscita, se non con gravi difficoltà, a impadronirsi in modo giusto e utile di quelle innovazioni offerte o richieste non solo dalla tecnologia.
Di alternative non ne sono venute né dalla destra né dalla sinistra. Cerchiamo almeno di vincere la paura. So che questo slogan sembra troppo modesto, ma non ne vedo un altro più affidabile.
Corriere della Sera 14.2.09
Spregiudicati su Darwin ma politically correct
di Dario Fertilio
Insomma, la teoria dell'evoluzione sta a destra o a sinistra? L'interrogativo irriverente viene da due giornalisti di formazione scientifica, Nicola Nosengo e Daniela Cipolloni, in un pamphlet scanzonato ma di impianto serissimo. Anche il titolo è gradevole: Compagno Darwin (edito da Sironi) induce al sorriso, «fa giovane», sdrammatizza piacevolmente lo scontro tra evoluzionisti e creazionisti. Il contenuto, poi, non tradisce le aspettative: la tesi è che l'opera del grande scienziato non sia di per sé né conservatrice né liberal, e tuttavia lo diventi secondo l'angolazione da cui la si affronta. Infatti, quando afferma l'origine naturale e non divina dell'uomo, tributaria soltanto al caso e alla necessità materialistica, il «compagno Darwin» si fa applaudire a sinistra. Ma appena comincia a spiegare il progresso della specie come il risultato di una «normale » selezione in cui emerge il più forte, o quando giustifica le differenze fra i sessi e le etnie, si fa arruolare immediatamente dall'altra parte. Aveva ragione Giorgio Gaber, dunque — ricordano i due autori — quando ironizzava sulla relatività di queste cose, tipo doccia «di sinistra» e vasca da bagno «di destra». Tuttavia, aggiungono, è giusto e inevitabile che ciascuno tiri Darwin per la giacca: la scienza, se non vuol condannarsi alla marginalità, deve accettare di sporcarsi le mani con la politica. Tutto bene, dunque, però il diavolo si nasconde nei dettagli. I due autori, così divertenti e irriverenti nel prendere in giro evoluzionisti bacchettoni e creazionisti imbonitori, si dichiarano nella prefazione infallibilmente certi di discendere dagli oranghi, dal «brodo primordiale » eccetera... insomma anche per rivendicare il diritto a essere irriverenti, sentono il bisogno di qualificarsi come «darwinianamente corretti».
il Riformista 14.2.09
Contemporanei "Storia europea della letteratura italiana": molti assenti
Per Asor Rosa gli ultimi non saranno primi
di Paolo Di Paolo
DE SENECTUDE. All'appello mancano i giovani Saviano e Giordano. Veronesi? «Ho letto solo "Caos Calmo"» Esclusioni motivate o indifferenza ? «È finita la «società letteraria, non si può leggere tutto». Di chi è la colpa?
Una cosa buffa è che nell'indice dei nomi Benigni è "Benigni Roberto Remigio". Una cosa prevedibile è l'assenza di Giulio Ferroni, collega ed eterno rivale. Una cosa tenera è la malinconia che da qualche parte sfugge all'autore. La Storia europea della letteratura italiana di Alberto Asor Rosa, pubblicata per Einaudi in tre volumi di oltre 600 pagine l'uno, si è già prestata a diverse letture: quella intenzionata a verificare l'architettura ideologica; quella mirata al censimento delle esclusioni eccellenti (nè Saviano nè Giordano); quella pregiudizialmente elogiativa.
Ma molte altre sono le possibili letture di quest'opera in ogni caso ammirevole. Una, più amena, potrebbe essere volta a evidenziare come il plurale maiestatis («pensiamo», «diciamo»), ragionevolmente utilizzato per larga parte della Storia, lasci, nelle pagine conclusive, sempre più spazio all'io, e perciò a umori personali più manifesti: «C'è un momento della vita - scrive Asor Rosa - in cui si smette di guardare quelli che camminano davanti a noi e lentamente ci si volge a guardare quelli che camminano dietro di noi: in questo movimento semi-circolare, molte cose si acquistano, ma anche molte se ne perdono. E l'occhio, comunque, non è più lo stesso».
È la zona de senectute, scritta con inchiostri perfino affettuosi (verso ciò che si è perduto). È finita la «società letteraria», dice Asor Rosa, tutto è più complesso e frammentario, magmatico; e poi, come si fa a giudicare uno scrittore di trenta o quarant'anni più giovane del critico? «I destini si sono separati: non abbiamo visto gli stessi film, non abbiamo sentito le stesse canzoni, non abbiamo coltivato gli stessi miti, non abbiamo amato le stesse persone».
Sembra che gli ultimi capitoli di questa Storia siano insomma stati scritti con un'aria parecchio perplessa, se non perfino di rinuncia. I libri che escono sono un'infinità, troppi ce ne sfuggono, e stare dietro a tutto è impossibile e ci carica di ansia, spiega in sostanza Asor Rosa; e qui sembra riecheggiare proprio l'odiato Ferroni di Quindici anni di narrativa, pubblicato nel 2001 - tra «incertezze e angosce» - nell'aggiornamento della Storia della Letteratura italiana Garzanti.
«Oltre le certezze» titola Asor il suo bilancio di fine Novecento. Dopo avere denunciato i limiti del suo percorso, teorizza il suo «personale criterio di lettura»: «c'è letteratura dove uno scrittore rivela un'identità, e c'è identità laddove si manifesta una forma». Che cosa vuole dire? L'assunto non è chiaro, lì per lì. Né tuttavia lo diventa quando Asor ci presenta i suoi autori contemporanei. Se un nome non c'è - avverte - è perché non risponde al criterio appena formulato; oppure perché l'autore della Storia «stava leggendo un gruppo di poeti del Seicento (…) e non ha trovato il tempo di leggere gli "ultimi"». Così diventa un pasticcio, però. Giordano non c'è perché Asor, mentre studiava il Seicento, non si è accorto della Solitudine dei numeri primi? o perché in tale bestseller non si manifestano identità e forma? O forse perché - come il critico ha dichiarato ai giornali - un libro solo è troppo poco? Però poi, quando scrive di Sandro Veronesi, dice «scusate, ma ho letto solo Caos calmo», il terreno comincia a franarci sotto i piedi. Le ampie, solide ricognizioni critiche dedicate a Dante o al verismo, qui si riducono neanche a micro-recensioni: a segnalazioni. Per carità, mica si può pretendere che di Veronesi si parli come di Petrarca; ma per esempio: dire che lo stile di Alberto Bevilacqua è «foriero di un rapporto cordiale di simpatia con il pubblico», ha senso? O ricordare che di Rosetta Loy «molto recente è il bello "Nero è l'albero dei ricordi"», ci aiuta a capire? L'ultimo libro di Dacia Maraini menzionato risale al 1990 (eppure cose molto importanti, per capire l'autrice, sono venute dopo).
Qui è in gioco lo statuto della contemporaneistica (così la chiamano nelle università). La maggioranza (tradizionalista) di docenti la snobba, giudicandola facile, inutile o frivola. Sempre meglio Petrarca. Appaltata quindi ai giornalisti, la volta buona che entra in una storia letteraria, possibile che entri tanto pasticciata? Considerate le difficoltà di messa a fuoco, non sarebbe stato meglio fermarsi ai morti, se il risultato doveva essere questo? Oppure radunare le "segnalazioni" dei contemporanei in un allegato transitorio, con data di scadenza? Un povero dottorando italianista senza borsa come chi scrive, altrimenti, come si raccapezza? Aspetta lumi, invece si confonde. Legge le quattro pagine su Eco in difesa del Nome della rosa e si domanda com'era quella storia di identità e forma.
Urge un ripensamento della contemporaneistica. O la cancelliamo, perché abbiamo deciso che è impossibile, fuori dai giornali, raccontare ciò che vive e in cui viviamo; oppure impariamo, con tutti i disagi del caso, ad accostarci a chi ci scrive accanto con più attenzione. Con più precisione. «Ricreare una "unità" là dove siamo di fronte alla disgregazione più totale»: ecco, ciò che ad Asor Rosa piace dei romanzi della Mazzucco, noi lo aspettavamo da lui, dalla sua Storia.
Liberazione Lettere 14.2.09
E finalmente ritorna la parola "ateo"
Caro direttore, vorrei esprimere un sentito ringraziamento a Roberta Ronconi che nella sua recensione a "Religiolus" di ieri ci ha regalato parole che non sentivo da tempo: "una simpatica e scanzonata boccata d'aria atea". Dopo anni di balbettii sulla profonda spiritualità dei credenti o sulla affermazione dell'assoluta conciliabilità fra essere comunisti e cristiani allo stesso tempo, finalmente torna la parola "ateo". Ora, con un po' di ansia aspetto che qualcuno osi dire perfino "non è dio che crea l'uomo, ma l'uomo che crea dio", frase sparita dal lessico della sinistra (ma quando è stata soppressa? e da chi ?) e poi, forse, un giorno, la mia preferita "la religione è l'oppio dei popoli"! Che sollievo poterla risentire. Non contenta la Ronconi ci aggiunge "la domanda delle domande: la religione è una vocazione o una malattia mentale? Gesù, Mosé e Maometto erano dei profeti, dei visionari o degli squilibrati?", forse è il film recensito a dire questo, ma non importa, lei ce lo ricorda e ce lo scrive. Io questa donna la amo. Domenica scorsa ho partecipato a Firenze alla due giorni dedicata alla laicità e ho dovuto notare che dire "il pensiero religioso è un nemico dell'essere umano, tanto quanto il potere politico delle gerarchie ecclesiastiche" riscuote consensi, ma anche qualche malumore. Pure in quel consesso. Credo proprio che i prossimi scontri sui grandi temi etici, sollevati dal progresso tecnico e scientifico (basti pensare all'ingegneria genetica) ci imponga una riflessione molto più profonda e articolata e lo sviluppo di una intelligenza molto maggiore sui grandi quesiti della vita e della morte, dell'umano e del disumano. Molto più di quanto non si sia fatto finora.
Fabio Della Pergola via e-mail
Oddio, si può arrossire su carta di giornale? Vedi i pomelli sulle mie guance prendere fuoco, caro Fabio? Ok, questo per dirti: grazie dei complimenti e della dichiarazione amorosa. In questi tempi di anoressia sentimentale, prendo e porto a casa. Sai, quando si sta da questa parte di un giornale (dalla parte di chi scrive, non di chi legge) spesso si ha la tentazione di non dirle, certe cose. Le hai ripetute tante e tante volte nella tua testa che ormai ti sembrano scontate. Come quello che ho scritto su "Religiolus". Ma non siamo tutti stanchi, sfranti, incazzati, per i modelli di vita che la nostra religione ci sta imponendo? Ma non è chiaro a tutti che ci stanno prendendo per il culo? Ma che davvero qualcuno crede nelle fiamme dell'inferno e QUINDI non uccide e deruba il prossimo né fa l'amore con chi gli pare altrimenti gli tocca passare un tempo infinito sul braciere? Sai qual è la risposta, Fabio? Sì, la sai. E non c'è nulla da dare supponentemente per scontato. Siamo nella merda, ed è meglio che ogni tanto ce lo ripetiamo l'un l'altro.
Roberta Ronconi
Ps: A proposito, quanti anni hai? ;)
Ps: A proposito, quanti anni hai? ;)